Internazionalizziamo la scuola

Didascalia scuolaSe  per  internazionalizzazione dei curricoli si intende più lingue, più mobilità, più cooperazione, più inclusione, più sostenibilità, più competenze mirate, più tecnologie, più cittadinanza attiva…molte nostre scuole siciliane  con  la partecipazione al Programma LLP (Lifelong Learning Programme) con Comenius, le Visite di studio, la Formazione in Servizio e l’Assistentato; al Progetto E- Twinning (portale europeo dei gemellaggi elettronici tra scuole); al progetto NHSMUN (NHSMUN – National High School Model United Nations: New York, 5 – 12 MARZO 2013), stanno andando  proprio in questa direzione.

Un buon numero di studenti delle scuole secondarie superiori della provincia di Trapani, accompagnati da docenti e da dirigenti, dal 5 al 12 marzo si trova a New York, per partecipare all’NHSMUN. L’NHSMUN è tra le più prestigiose e partecipate simulazioni, al mondo, dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nelle quali gli studenti, che provengono da ogni parte del pianeta, in rappresentanza di oltre 200 scuole, approfondiscono e si confrontano sui temi oggetto dell’agenda politica internazionale indossando i panni di ambasciatori e diplomatici. Gli studenti “delegati”, nel rivestire questo ruolo, svolgono le attività tipiche della diplomazia: tengono discorsi, preparano bozze di risoluzione, negoziano con alleati e avversari, risolvono conflitti ed imparano a muoversi all’interno delle committees, adottando le regole di procedura delle Nazioni Unite.

La simulazione, che avviene interamente in lingua inglese, impegna gli studenti a studiare la politica, la geografia, l’economia del Paese da rappresentare, nonché ad analizzarne il relativo contesto sociale, giuridico e le relazioni internazionali intercorrenti con gli altri Stati del mondo. Lo scopo, infatti, è farsi portavoce degli interessi del Paese assegnato dallo Staff Board dell’Ente organizzatore, al fine di concretizzare l’attività di negoziazione e dibattito attraverso la redazione delle Risoluzioni finali, di cui terranno conto i reali  Diplomatici di carriera, alla ripresa dei lavori formali ONU.

I Model United Nations si svolgono in luoghi di particolare rilievo: all’interno del Quartier Generale delle Nazioni Unite a New York o, ancora, all’interno dell’Harvard University (Boston). La  speciale location all’interno del Palazzo di Vetro conferisce alla simulazione il valore di una esperienza irripetibile.

L’ NHSMUN è organizzata dall’International Model United Nations Association, ente accredidato presso il Dipartimento di Formazione delle Nazioni Unite e partner di United Network.

I delegati, oltre a vivere un’esperienza intensa, impegnativa ed unica, durante la simulazione, hanno l’opportunità di incontrare i diplomatici dei paesi che saranno chiamati a rappresentare durante il model (mission briefing), nonché di conoscere gli stessi  che lavorano all’interno del Consolato Generale Italiano a New York e della Missione Permanente Italiana presso le Nazioni Unite. Ovviamente il progetto NHSMUN prevede anche momenti di divertimento e socialità, come la NHSMUN delegate dance, cui prendono parte tutti i 3.500 delegati alla simulazione e la United Network DELEGATE DANCE, cui partecipano gli studenti italiani ed europei aderenti al nostro network.

Perché questo progetto?

– Perché prevede l’inglese come lingua ufficiale dei lavori di simulazione, all’interno delle Commissioni: ciò costituisce occasione per apprendere la capacità di trattare e discutere temi a carattere politico-internazionale, giuridico, economico e sociale in una delle lingue ufficiali delle Nazioni Unite ed essenziali per poter operare in ambito internazionale.

–Perché offre ai giovani un’opportunità unica di comprendere, vedere ed applicare in concreto ed in prima persona il funzionamento interno delle Nazioni Unite, distaccandosi dal modello classico della lezione frontale e nozionistica tipica degli insegnamenti scolastici.

–Perché permette agli  studenti, in qualità di delegati, di rivestire il ruolo non solo di diplomatico, ma anche di giurista, economista ed esperto di rapporti internazionali ed ancora consente agli studenti di assumere le vesti di difensori e giudici prodigandosi nella difesa e nella battaglia per la tutela dei diritti umani.

–Perché rende gli studenti consapevoli dell’interdipendenza globale che caratterizza il mondo in cui vivono e perché li aiuta a vincere le sfide e ad ottimizzare le opportunità.

L’internazionalizzazione dell’istruzione rappresenta, ormai, una realtà e allo stesso tempo una sfida per i policy makers, gli stakeholders, i docenti e gli studenti di tutti gli ordini dell’istruzione.

È compito della scuola, infatti, preparare gli studenti per la vita e per il lavoro, nel loro contesto locale e nazionale, ma anche nel più ampio contesto sovranazionale. E l’internazionalizzazione del curricolo è un elemento di vitale importanza in tale processo. Questa è una sfida che ci porta al rinnovamento continuo sia in termini di contenuti che di strategie, per far sì che i giovani siano partecipanti attivi, in un mondo caratterizzato sempre più da connessioni interdipendenti a livello globale.

La gestione del procedimento disciplinare nei confronti degli alunni

Didascalia scuolaSaper gestire il procedimento disciplinare, a fronte di comportamenti non corretti degli alunni, nel rispetto delle norme che ne regolano la funzione, da parte di una Istituzione Scolastica, è indice di serietà,  di dichiarata  volontà  educativa e di dialogo con gli  stessi alunni e le  loro famiglie.  E’ vero che molto può essere incasellato nei regolamenti di istituto e che ad ogni azione scorretta corrisponde una sanzione, ma è pur vero che, in ambito educativo e in fase adolescenziale, prima di sanzionare, si deve dare senso e significato alle regole, da condividere con le famiglie e con le studentesse e gli studenti. Ci si chiede spesso se la sanzione,  in seguito ad una trasgressione, sia sempre formativa e quali siano le condizioni affinché essa possa veramente migliorare l’individuo senza inasprirlo. Si nota spesso, ne danno  conferma tutte le sospensioni dalle lezioni, che non tutti reagiscono allo stesso modo ai provvedimenti disciplinari: coloro che hanno già una buona autostima, che riconoscono il valore della punizione e che nutrono stima verso chi irroga la punizione, sicuramente ne traggono benefici educativi, gli altri, molto più numerosi, diventano più aggressivi e manifestano comportamenti sempre più sconvenienti. Ciò è dimostrato anche in ambito sociale e giudiziario.

Augurandomi, pertanto,  di non essere fraintesa, ho l’impressione che un asettico e intransigente rispetto del Regolamento di Istituto porti, talvolta, a imbrigliare la relazione scuola-famiglia, docente-discente e a sottovalutare l’importanza della costruzione di uno stretto patto pedagogico di corresponsabilità.  In educazione si parla di autonomia normativa, di robustezza e di flessibilità dei riferimenti regolativi. Regole che non  devono essere parcellizzate e che devono lasciare spazi d’azione ampi. Perché un individuo trasgredisce le norme? e perché le rispetta? Forse per senso di appartenenza e per accomodamento, per paura della punizione che può essere individuale o sociale. Una regola è anche ciò che rappresenta colui che la trasmette, nell’aspetto relazionale e simbolico della norma.  Se un alunno  non mette in pratica una regola con un insegnante, ma la mette in pratica con un altro,  ci dice che stima il datore della regola e non la norma in se stessa.

In educazione, l’apprezzamento della regola si ottiene nella relazione, interazione e nella modalità della sua trasmissione all’individuo da parte del  datore della stessa e nel far capire che l’agire di un individuo implica il mettere in atto dinamicamente il vincolo e la libertà, nella loro sinergica alleanza. Solo così si riesce anche a costruire  significato e responsabilità nei comportamenti. Quindi accanto ad un corretto andamento del procedimento disciplinare da adottare da parte dell’Istituzione Scolastica:

1. Convocazione del Consiglio di Classe per redigere le contestazioni di addebito (identificazione del “fatto” nella sua espressione fenomenica con indicazione della regola che si assume violata ed invito a giustificare);

2. Notifica delle contestazioni ai genitori e all’alunno;

3. Audizione alunno e genitori (contraddittorio);

4. Provvedimento eventuale di irrogazione della sanzione, con motivazione che spieghi la valutazione effettuata dall’organo collegiale, con riferimento alle regole contenute nel Regolamento di Istituto, alla proporzionalità della sanzione e all’esplicitazione delle ragioni che non consentono di tenere conto delle eventuali giustificazioni fornite; occorre parallelamente percorrere un cammino educativo  con l’alunno, basato  su un rapporto di fiducia e di credito.

Registro elettronico: efficienza ed illusione educativa

Didascalia scuolaStando al decreto Monti, sollecitato altresì da Profumo,  la dematerializzazione investe anche la scuola.  A partire dall’anno scolastico 2013-14, il registro elettronico dovrebbe andare obbligatoriamente in cattedra, con un’obbligatorietà tutta italiana, riguardo alle innovazioni: “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

La dematerializzazione  è  un progetto di innovazione  tecnologica, che coinvolge tutta la Pubblica Amministrazione e che  prevede, per la scuola,  iscrizioni e  certificati online, pagelle elettroniche, registri di classe e personali in formato digitale.

Attualmente, però, per i docenti sembra essere solo una minaccia: le istituzioni scolastiche non sono ancora bene attrezzate, i docenti, ancora, mostrano un residuale analfabetismo informatico, non sono adeguatamente formati e non hanno un computer per classe.  Certo, potrebbero caricare  assenze e voti,  successivamente, prendendo appunti su fogli  volanti, in classe, ma ciò comporterebbe non solo un  conseguente aggravio di lavoro ma soprattutto il rischio di dimenticanza e di errore di trascrizione.

Il registro elettronico funzionerà o non funzionerà?  Sicuramente alla  fine funzionerà. Le scuole a fatica troveranno  le risorse per acquistare o affittare i notebook o i tablet, per tutte le aule, per pagare gli onerosi  contratti alle aziende incaricate di risolvere i molteplici  problemi tecnici e di assicurare assistenza continua, dopo aver cercato di formare  tutti gli insegnanti e di gestire  il loro  stress iniziale da voti scomparsi, da password smarrita, da mancata o lenta connessione, da sovraccarico  di lavoro. Ci si renderà conto, poi,  che in un attimo, si potrà avere  il quadro generale dei voti, la media dei voti, la media  della classe, della scuola, per disciplina, per provenienza geografica, per sesso; si avranno le assenze, le note, i ritardi, ancora per materia e per sesso e  passerà tutto alla stampa con rapidità. Si procederà, quindi, con efficienza: non si compileranno più le pagelle, i registroni,  non si  scriveranno più i voti  uno a uno, e anche le assenze, numerose  volte in numerosi documenti.

Si può parlar male del registro elettronico? Certo che no!

Voti e assenze online permettono ai genitori di controllare tutto in tempo reale e da casa. Il registro elettronico permette di vedere online i voti e le assenze. I genitori dei ragazzi accedono con password e, in tempo reale, sanno in diretta se il figlio è a scuola o no, quale voto ha preso, in quale materia, la media, le note disciplinari, gli esiti intermedi e finali. I genitori  sanno tutto da casa, dall’ufficio, da smartphone. Non hanno necessità di chiedere un colloquio ai docenti: sanno tutto.

La domanda, quindi, che ci si pone non è se funziona o non funziona il registro elettronico, bensì se il registro elettronico ha in sé qualche effetto collaterale.

Si teme solo che la dematerializzazione possa realizzarsi anche nei rapporti e vengano meno l’incontro e la fiducia.

La smaterializzazione della scuola può andar bene per l’efficientamento  (parola brutta) delle carte e procedure, non certo per i rapporti, per le relazioni che hanno bisogno del corpo e del suo linguaggio. La corresponsabilità educativa si costruisce sulle persone che si incontrano e si parlano, sul dialogo, sulla  voce che dice tanta verità, sulle parole che spiegano; la fiducia è qualcosa che si realizza fra persone e   non su un computer che  denuncia tout-court.

Dove il registro elettronico c’è da un po’,  si rileva  che i genitori non si facciano più vedere ai colloqui con i docenti, basta loro  il voto letto sul video, la media la sanno fare da sé. E’ come se la valutazione fosse media aritmetica, come se l’insegnante non avesse niente da raccontare e da condividere, come se l’insegnante non fosse presente alla storia dell’alunno, ai suoi disagi, ai suoi successi, ai suoi progressi.  Oppure, sempre più frequentemente,   i genitori a scuola, vanno, ma solo  a fine quadrimestre e a fine anno, a contestare il voto in pagella, perché non coincide con  la media dei voti monitorata per mesi  e mesi online.

Come se il processo di apprendimento e crescita potesse diventare un numero.

In un momento in cui la crisi di partecipazione investe la scuola come tutta la realtà sociale, in cui è necessaria un’ alleanza educativa da costruire e da concordare, la scuola rischia di dare  solo “numeri”.   Ci si  chiede  se  che questo sia bene.

Mi viene da riflettere, anche,  sul vuoto di fiducia non solo fra scuola e famiglie, ma forse e di più fra genitori e figli. Non occorre che il figlio parli di “com’è andata”. Anche se il figlio non parla di scuola, con il registro elettronico il genitore comunque “sa”  e subito quel che conta: i voti, le assenze e il bigiare  la lezione. Mancherà allo studente quel tempo sospeso tra ciò che accade  e il momento in cui  ne deve o può parlare, gli mancherà il tempo di pensare, di dispiacersi per il voto preso e  il proposito di riparare. Così come mancherà ai  genitori la possibilità di interpretare i segnali e le parole non dette, l’opportunità di  dedicare attenzione a quel che succede, perché succede e di  desumere  se va bene e  se il figlio ha capito e sta crescendo..

Sapere tutto e subito, di certo, rasserena e smorza  l’ansia, ma non sostituisce la fiducia.

Il registro elettronico  può diventare quindi un’ illusione educativa, che ci permette ancora una volta di non vedere quel che capita  e il perché capiti. Esiste, davvero,  il rischio di perdere una  fondamentale vita di rapporti personali.

La  tecnologia  più avanza, ed è bene che avanzi, più bisogna custodire la materialità delle relazioni. La relazione educativa è incontro e non può tutto  esaurirsi nella virtualità di un rapporto sul web. Sarebbe davvero “scandaloso”, un   domani, bocciare un bambino, un adolescente, uno studente, attraverso una comunicazione sul web.

Il Piano delle Attività Inclusive (P.A.I.)

Didascalia scuolaLe ultime disposizioni normative, la Direttiva MIUR 27/12/2012 e la  C.M. N° 8/13,  prevedono, nelle scuole, un nuovo adempimento: l’elaborazione del Piano delle Attività Inclusive, un altro strumento di programmazione che deve essere predisposto dal Gruppo di Lavoro per l’Inclusione, GLI, (includente il vecchio GLH) e  approvato dal Collegio dei Docenti. Tale Piano ha il compito di  identificare  i punti di  forza e di criticità delle attività inclusive, svolte dalla scuola, e, quindi,  di  predisporre un piano delle risorse da offrire e da richiedere agli EE.LL. e comunque a soggetti pubblici e al privato sociale, per impostare, al meglio, un’adeguata accoglienza degli alunni, con particolare riguardo a quelli con  Bisogni Educativi Speciali.

Il Piano delle Attività Inclusive, PAI, è  parte integrante del POF e, secondo la C.M. n° 8/13, deve essere redatto e  approvato annualmente entro il 30 giugno.  In realtà,  molte scuole hanno manifestato  una forte resistenza nell’applicazione delle nuove indicazioni normative e hanno trovato sostegno nei  Sindacati che hanno accolto e fatto proprie le contestazioni.

Ciò ha costretto il Ministero dell’Istruzione  a inviare la Nota prot n° 1551 del 27-06-13 con la quale affida ai singoli Uffici Scolastici Regionali la definizione della data, entro la quale il PAI va approvato ed inviato agli stessi. In  tale Nota il MIUR  precisa che la prima fase  sarà dedicata alla sperimentazione del PAI e alla raccolta delle buone pratiche. Approfondisce, poi, il significato di programmazione didattica del PAI: “Il P.A.I., infatti, non va inteso come un ulteriore adempimento burocratico, bensì come uno strumento che possa contribuire ad accrescere la consapevolezza dell’intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei “risultati” educativi, per creare un contesto educante dove realizzare concretamente la scuola “per tutti e per ciascuno”.  Nella Nota si chiarisce, ancora, che esso non è un piano per i soli alunni con BES, ma riguarda invece la programmazione generale della didattica della scuola, al fine di migliorare  la  qualità dell’offerta formativa.

Le difficoltà  di apprendimento in generale e i disturbi specifici di apprendimento, sappiamo bene, rappresentano un problema ad alta incidenza nella popolazione scolastica e costituiscono uno dei fattori di disagio e di rischio di dispersione scolastica. Risulta estremamente importante, pertanto, identificare prima possibile tali difficoltà per poter intervenire già nelle prime fasi di acquisizione delle abilità funzionali all’apprendimento. Un intervento precoce, così come richiamato dalla nuova normativa, riesce a generare un recupero funzionale, a ridurre il  disagio affettivo e sociale e a prevenire l’insorgenza di disturbi comportamentali.

Parlare di “bisogni educativi speciali”, che non è una moda, significa basarsi su una concezione di tipo globale della persona, secondo il modello dell’ICF, il modello della classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute, come definito dall’organizzazione mondiale della sanità (OMS2002).

Ogni Istituzione Scolastica, a prescindere dalle nuove indicazioni, ha il compito della presa in carico di tutte le alunne e di tutti gli alunni, di rispondere in  modo funzionale e  personalizzato  alle loro esigenze e ai loro bisogni, sia che l’alunna o l’alunno presenti difficoltà di apprendimento o di sviluppo delle abilità o di competenze o presenti disturbi di comportamento. Questo implica un’analisi delle situazioni esistenti, una mappatura delle risorse esistenti o da richiedere, una programmazione e pianificazione delle azioni da mettere in campo e  richiede competenza dei docenti nel saper cogliere segnali di disagio o di difficoltà in genere. A ciò si aggiunge la necessità di una fattiva collaborazione tra scuola e famiglia e un approccio integrato tra le due istituzioni educative e i servizi sanitari, nell’ottica di una lettura dei bisogni, nella quale i fattori ambientali si correlano allo stato di salute degli studenti. In questo modo la disabilità o il disagio in genere non riguarda soltanto il singolo individuo che lo manifesta, bensì tutta la comunità in cui egli è inserito e le istituzioni che ne fanno parte.

In questa ottica, a mio avviso, il PAI ben si colloca all’interno del POF e nel quadro auto-valutativo e valutativo della qualità della scuola, che dovrà quanto prima realizzarsi, a seguito dell’apposito decreto legislativo dell’8 gennaio 2013.

La vigilanza sugli alunni e le responsabilità del dirigente scolastico

Didascalia scuolaNella vigilanza degli alunni, la responsabilità dei docenti richiama spesso anche la  responsabilità del  dirigente scolastico. In caso d’infortunio o di danno causato dall’alunno a sé stesso o ad altri, assieme ai docenti ed eventualmente ai collaboratori scolastici, viene spesso citato in giudizio il dirigente scolastico, nella qualifica di “datore di lavoro”.  Le responsabilità che gli si addebitano riguardano le eventuali inefficienze di controllo e di organizzazione  (artt. 2043 e 2051 del c.c.). I “precettori” in senso civilistico, dunque, non si liberano dalle responsabilità in esame se non dimostrano “in positivo” di aver adottato “in via preventiva” tutte le cautele idonee ad evitare le situazioni di pericolo favorevoli al verificarsi di fatti dannosi. Il dirigente scolastico, quindi, per sottrarsi alle accuse  di responsabilità da parte della Magistratura dovrebbe evitare  disposizioni generiche e prive di oggettive indicazioni organizzative. Occorre, pertanto, che si disciplinino con attenzione e si esplicitino nel Regolamento di Istituto: l’ingresso e l’esodo degli alunni; l’avvicendamento degli insegnanti nelle classi; le emergenze dovute a ritardi o assenze del personale; l’ utilizzo  di laboratori e  palestre; gli intervalli per la  ricreazione  nei cortili e negli androni della scuola; il controllo degli allievi nella mensa, nei bagni e nei corridoi. Il momento dell’uscita, delicato e non da sottovalutare, va regolamentato con puntuali indicazioni al personale, ai genitori e agli stessi allievi, in relazione alla loro età e alle condizioni dell’ambiente esterno, come la mancanza di spazi protetti, la presenza di  strade anguste  e di traffico. Laddove non è possibile la riconsegna diretta dell’alunno al rispettivo genitore, così come avviene nella scuola dell’infanzia, è opportuno, prendere le dovute misure precauzionali: organizzare, possibilmente, un orario di uscita diversificato per favorire il deflusso (soprattutto quando all’interno dello stesso edificio coabitano classi di diverso ordine di scuola); concordare le modalità di accesso controllato ai pullman con il servizio di trasporto; richiedere  l’intervento dei vigili urbani e/o sorveglianti comunali; chiedere ai genitori di comunicare tempestivamente l’eventuale ritardo nel prelievo del figlio; responsabilizzare i docenti delle ultime ore, tenuti, da contratto, a compiti di assistenza “all’uscita dalla scuola” e soprattutto i collaboratori scolastici a prendersi cura di alunni eventualmente incustoditi. Il dirigente scolastico, inoltre, ha il dovere di prendersi cura degli strumenti e delle attrezzature potenzialmente dannosi e di eliminare qualsiasi rischio con provvedimenti organizzativi di sua competenza o con solleciti nei confronti dei soggetti deputati a tali  provvedimenti. La responsabilità dirigenziale è molto ampia e presuppone un’azione di stimolo e di  proposta verso il consiglio di istituto, per l’adozione di un regolamento interno, in cui sia prevista ogni misura idonea a tutelare in maniera adeguata la sicurezza degli allievi. Presuppone, anche, che le misure regolamentari prese, sentiti gli organi collegiali, i genitori ed anche il responsabile della sicurezza nella scuola, siano rese operative attraverso la diffusione di circolari, direttive, comunicazioni, istruzioni e controlli costanti. Secondo quanto sancito dall’art. 2048 del c.c., l’obbligo di vigilanza non è, comunque, assoluto, ma va riferito al grado di maturazione degli alunni e non richiede più la presenza continua degli insegnanti “con l’avvicinamento all’età del pieno discernimento”. A tal proposito, con sentenza n. 369 del 1980, la Cassazione Civile riteneva che si può legittimamente consentire ad un quattordicenne di spostarsi autonomamente da un locale scolastico all’altro, in un percorso noto e privo di pericoli. Analogamente nel 1993 la Corte dei Conti, nel caso di un quindicenne infortunatosi durante la ricreazione, ha ritenuto non necessaria la presenza continua dei docenti, “purché non manchino le più elementari misure organizzative dirette a mantenere la disciplina”. Tuttavia i magistrati tendenzialmente sottostimano la capacità di autodirigersi dell’alunno e valutano con estrema severità il personale della scuola, obbligato a dimostrare la preventiva eliminazione di ogni possibile fattore di rischio per la sicurezza delle scolaresche. Si tende, pertanto, compatibilmente con le risorse umane disponibili, a ipersorvegliare le aule e gli ambienti scolastici e a sottoporre gli allievi ad un controllo poliziesco, determinandosi, così, talvolta, nelle aule un clima ansiogeno.  In materia di vigilanza e sicurezza, le leggi e la giurisprudenza dovrebbero, a mio avviso, dare più rilevanza alle ragioni della psicopedagogia che invita a riconoscere, a rispettare e assecondare i bisogni di autonomia dell’alunno nelle varie fasi del suo sviluppo:  un  alunno  più maturo e responsabile corre, in definitiva, meno rischi anche sul piano dell’incolumità fisica.

La vigilanza sugli alunni e le responsabilità del personale della scuola

Didascalia scuolaIl tema, sempre attuale, della vigilanza degli alunni e delle correlate responsabilità del personale della scuola, presenta  ancora “zone d’ombra”  e rappresenta per i docenti  motivo di costante preoccupazione, perché il rischio di essere coinvolti in azioni legali e procedimenti giudiziari impegnativi  è elevato.

Oggi, infatti, si ricorre spesso alla magistratura, anche per  infortuni banali.  Le  sentenze sono sempre a favore del minore danneggiato, la cui tutela prevale quasi sempre sulle ragioni del docente.   “I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza” ( art. 2048 2° c. del Codice Civile).

Si tratta di una “responsabilità aggravata”, basata su una “colpa presunta”, ossia sulla presunzione di  “culpa in vigilando” (negligente adempimento dell’obbligo di sorveglianza sugli alunni), per la quale l’accusato deve dimostrare di non aver potuto impedire il fatto, che l’evento non fosse prevedibile o superabile con la normale diligenza in relazione al caso concreto, ma anche che fossero state adottate tutte le misure idonee ad evitare il pericolo che aveva determinato l’evento dannoso.

Sul piano della responsabilità civile,  l’art. 61 della L. 321/1980  ne mitiga la gravità,  escludendo l’azione civile diretta nei confronti del personale della scuola, a cui subentra  l’amministrazione pubblica, come soggetto passivo dell’azione risarcitoria. In caso di soccombenza dell’amministrazione scatta, comunque, l’azione di rivalsa, sul piano patrimoniale, nei confronti del dipendente, ma solo in caso di dolo o colpa grave che, secondo la giurisprudenza della Corte dei Conti, sussiste quando viene accertata una “ una particolare spregiudicatezza, una massima imprudenza e una inammissibile negligenza”.

Sul piano penale, invece, la responsabilità è personale; una fattispecie di reato riguarda le lesioni colpose (art. 590 c.p) che ha tra gli elementi costitutivi il principio, per cui “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” (art.40 c.p.).

L’obbligo della vigilanza sull’alunno insorge al momento dell’ingresso nei locali o nelle pertinenze della scuola e termina all’uscita, a conclusione dell’orario giornaliero. Il minore affidato ad un istituto scolastico deve essere ininterrottamente vigilato e tutelato da eventuali pericoli per la sua incolumità, dal momento iniziale del suo affidamento e fino al subentro, reale o potenziale, dei genitori o di persone da essi incaricate.

L’art. 29 del CCNL 2006/09 prevede che “per assicurare l’accoglienza e la vigilanza degli alunni, gli insegnanti sono tenuti a trovarsi in classe 5 minuti prima l’inizio delle lezioni e ad assistere all’uscita degli alunni medesimi”.

Il regolamento interno dell’istituto scolastico deve  dettare i  criteri e le modalità per assicurare “la vigilanza degli alunni durante l’ingresso e la permanenza nella scuola, nonché durante l’uscita dalla medesima”. Nella vigilanza  è coinvolto anche il collaboratore scolastico, il cui  profilo contrattuale prevede il compito di “accoglienza e sorveglianza nei confronti degli alunni, nei periodi immediatamente antecedenti e successivi all’orario dell’attività didattica e durante la ricreazione”.

Gli aspetti critici nella questione della vigilanza non sono, di certo, pochi.

Il momento più problematico è sicuramente quello dell’esodo dall’edificio, in cui avviene la riconsegna “effettiva o potenziale” degli allievi ai rispettivi genitori.    Normalmente gli  allievi vengono accompagnati al portone o cancello della sede scolastica, dove vengono prelevati dal genitore o dall’adulto da questi incaricato. Le “liberatorie” dei genitori, che autorizzano il rientro a casa del figlio da solo o accompagnato da minorenne, secondo l’Avvocatura dello Stato di Bologna (nota n. 518 del 2001), non hanno alcuna legittimità; anzi siffatte autorizzazioni potrebbero costituire, in sede giudiziaria, prova della consapevolezza da parte del personale scolastico di un deficit di sorveglianza, con implicita ammissione di responsabilità.

Il concetto di riaffidamento “potenziale” del minore implica la formalizzazione e l’informazione sulle modalità di esodo degli alunni che, appena fuori dalle pertinenze della scuola, transiterebbero nella sfera della responsabilità dei genitori. Questa impostazione è stata però disattesa da una sentenza del 2010 della Cassazione che ha riconosciuto la responsabilità penale del personale della scuola nel decesso di un preadolescente investito da un automezzo comunale in spazio pubblico esterno, dopo l’uscita dall’istituto. In particolare, il dirigente scolastico avrebbe dovuto adottare, di concerto con i responsabili comunali, tutte le possibili misure organizzative per consentire agli allievi l’uso del pullman in condizioni di sicurezza.

Non deve, allora, essere sottovalutato il momento dell’uscita degli allievi che, in relazione alla loro età e alle condizioni ambientali esterne (presenza di spazi protetti, dimensione delle strade, traffico), va regolamentato con puntuali indicazioni al personale, ai genitori e agli stessi allievi.

Anche la fine dell’ora di lezione, con il conseguente avvicendamento degli insegnanti, rappresenta un momento critico: poiché ogni docente dovrebbe lasciare l’aula soltanto all’arrivo del collega, si possono verificare situazioni paralizzanti con due o più  insegnanti che si attendono reciprocamente.  Di certo  la  soluzione non può essere quella  di scambiarsi le classi nel corridoio “a metà strada”.

Un’altra situazione problematica insorge allorché l’alunno  chiede di andare in bagno: il docente o lo   accompagna e lascia incustodita l’intera classe  o lo manda da solo. In entrambi i casi, comunque, si determina un’omissione di vigilanza che potrebbe essere sanzionata nell’eventualità di incidenti. Del resto non si può chiedere la collaborazione di altri docenti in quanto non si hanno più compresenze nell’attività d’aula  e neanche ai collaboratori scolastici che, data la contrazione degli organici,  sono sempre meno, non riuscendo, talvolta,  neanche, a custodire tutti i settori e i piani degli edifici. Allora, al rigore preteso dai pronunciamenti giurisprudenziali, per i quali almeno fino ai 14 anni gli allievi non dovrebbero rimanere mai incustoditi, si contrappongono insuperabili ostacoli strutturali e organizzativi, pur con tutti i possibili accorgimenti e la massima cautela che si possono adottare. Sicuramente,  non si può  paradossalmente interrompere l’attività didattica e recarsi con tutta la classe nei servizi igienici ogni qualvolta qualcuno ne abbia necessità.

Ci si chiede, quindi, alla luce dei diversi orientamenti giurisprudenziali, quale debba essere la condotta che il personale insegnante dovrebbe prudentemente tenere, al fine di evitare un’eventuale responsabilità a suo carico.

Un insegnante accorto ha il dovere di valutare le circostanze concrete (età degli alunni, grado di maturazione effettivo degli stessi, capacità di autocontrollo ed affidabilità, presenza o meno di alunni con disabilità e  di alunni caratteriali, caratteristiche ambientali ecc. .) e se  ritiene che la situazione non sia del tutto priva di rischi, non deve allontanarsi per recarsi in un’altra classe, anche in caso di ritardo prolungato dell’insegnante a cui dovrebbe passare “in consegna ” gli alunni. Dinanzi all’alternativa del garantire il diritto allo studio e tutelare l’incolumità personale dei minori, non può che soccombere il primo.

Nel caso in cui il docente avesse cessato il suo orario di servizio e, quindi, contrattualmente non obbligato a trattenersi nell’istituto scolastico, la vigilanza sull’incolumità del minore dovrebbe prolungarsi per il tempo necessario a rendere nota la situazione all’amministrazione scolastica, per permetterle di provvedere ad organizzare l’affidamento dei minori ad altri docenti o ai collaboratori scolastici.

Per quanto riguarda l’intervallo, si ritiene comportamento prudente, soprattutto sotto la soglia dei quattordici anni, non allontanarsi mai dalla classe ” affidata ” o dal luogo assegnato per l’effettuazione della vigilanza sugli alunni.

Ci si affida, alla fine, alla professionalità e al buon senso, accettando di correre quei rischi che comunque nemmeno un sistema di controllo poliziesco può eliminare, e confidando nelle tutele della polizza assicurativa.

Prove Invalsi: riflessioni e confronto

Didascalia scuolaCi si avvicina alle prove Invalsi di maggio e ritualmente si comincia a dibatterne. Constatando, con compiacimento, che c’è ancora qualcosa che fa discutere sulla scuola, desidero inserirmi nella discussione non volendo, a priori, schierarmi né da una parte né dall’altra, nel senso dei denigratori o sostenitori delle stesse. I timori e i pregiudizi attorno alle suddette prove, che inducono a scansarle e svalutarle sono parecchi e si basano, in gran parte, sulle seguenti motivazioni:

  • Si tratta di test di matrice anglosassone, estranei alla cultura scolastica italiana;
  • Le prove sono troppo lunghe, difficili; preparare la loro somministrazione e disporne la correzione sottraggono molto tempo alla didattica;
  • Sono un modo per “controllare” la didattica degli insegnanti e per dividere le scuole in buone e cattive;
  • Si fondano sulla pretesa di ridurre tutto a misurazioni;
  • Intollerabile ingerenza nell’autonomia scola¬stica idonea a comprimere la libertà di insegnamento;
  • Eccessivo carico di lavoro non retribuito, sia da parte degli uffici che da parte degli insegnanti. Le prove INVALSI, comunque, anche se accompagnate da resistenze e atteggiamenti di diffidenza, sono una realtà: le scuole ogni anno sottopongono gli alunni a prove nazionali, uguali per tutti, per rilevare gli apprendimenti di italiano e matematica.

Allora, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

— L’Invalsi (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e Formazione) ha, ai sensi della L.D. 53/03 e suc¬cessivo D.L.vo 286/04, il compito di effettuare, “verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti”, finalizzate al “progressivo miglioramento e armonizzazione della qualità del sistema d’istruzione”. Si tratta di operazioni valutative, presenti, da anni, in quasi tutti i Paesi dell’Unione europea e in quelli notevolmente sviluppati e sono chiaramente distinte dalle verifiche finalizzate alla “valutazione periodica e annuale degli apprendimenti e del comportamento degli studenti”, di competenza esclusiva dei docenti. Se alle istituzioni scolastiche è affidata la competenza di progettare e realizzare interventi di educazione, istruzione e formazione finalizzati a realizzare gli obiettivi nazionali del sistema di istruzione (DPR 275/99), è ovvio che ne debba conseguire il controllo da parte del Ministero, per verificare se tali obiettivi sono di anno in anno raggiunti e quali correttivi, eventualmente, sia necessario apportare. E’ un profondo e significativo cambiamento che se non si riesce ad avvertire risulterà anche difficile comprendere le ragioni dell’intervento dell’Invalsi.
— Il test è uno strumento di indagine oggettivo, quindi, rispetto ad altri strumenti di rilevazione degli apprendimenti, in effetti, è uno strumento “povero”. Chiedere la definizione di numero irrazionale (la risposta è solo una) o chiedere di riferire sul binomio “Etica e Politica”, con tutti gli argomenti che si possono sviluppare attorno ad esso, anche contraddittori, è sicuramente cosa diversa e non possono essere oggetto degli stessi strumenti di verifica. Se la valutazione esercitata da un insegnante consistesse solo nella somministrazione di test, nutrirei qualche perplessità sulla sua professionalità e sulla sua competenza valutativa. I test Invalsi hanno finalità limitate e precise: verificare se finalità, obiettivi, competenze, di cui alle Indicazioni nazionali e alla Linee guida del Miur, deputato dalla stessa Costituzione ad emanare le “norme generali sull’istruzione”, sono di volta in volta raggiunti o meno e in quale misura. Le scuole valutano gli apprendimenti, giorno dopo giorno, periodicamente, annualmente, l’Invalsi valuta la tenuta e l’andamento del sistema. Si tratta di ambiti di indagine diversi ma che si completano e si integrano.
— I test Invalsi credo siano adeguati, affidabili e attendibili, perché la corrispondenza dei test con gli insegnamenti effettuati nelle singole scuole e classi non va ricercata sui singoli contenuti, ma sulla corretta utilizzazione, da parte degli alunni, di “quei” contenuti appresi in classe, per risolvere i “quesiti” e i “casi” che le prove propongono. Non vedo nessuna sovrapposizio¬ne né alcuna prevaricazione da parte dell’Invalsi nei confronti delle singole scuole e dei singoli insegnanti.
— L’esito delle prove non ha nulla a che vedere con la valutazione degli insegnanti, che è altra cosa. Gli esiti delle prove saranno consegnati alle singole scuole e il Liceo “Adria-Ballatore” non saprà nulla di quanto è avvenuto all’IISS “Dante Alighieri” e viceversa.
— Le prove Invalsi sono obbligatorie per leg¬ge. Si vedano, oltre alle norme sopra citate, la direttiva triennale n. 74 del 15 settembre 2008 e la direttiva n. 67 del 30 luglio 2010. A tal proposito va menzionata la sentenza n.212 del 29/08/2012 del Tribunale di Trieste, che ha respinto la domanda del docente condannan¬dolo alla rifusione delle spese di lite in favore dell’amministrazione scolastica patrocinata dall’Avvocatura dello Stato. Secondo la sen¬tenza, “ ..Omissis.. alla luce del quadro norma¬tivo sopra richiamato si può dunque ritenere che l’effettuazione di rilevazioni periodiche funzionali al monitoraggio dello standard qualitativo e del miglioramento del sistema scolastico è previsto dall’ordinamento in capo al MIUR che ne dispone e cura lo svolgimen¬to anche avvalendosi di un ente strumentale, l’INVALSI …Omissis…” , “…Omissis… non ri¬sulta alcuna competenza decisionale in capo al singolo istituto scolastico e in particolare al Collegio Docenti in ordine alla scelta di ef¬fettuare o di non effettuare le prove di cui si discorre Omissis”. Quanto alla posizione del personale docente, secondo il Tribunale “ l’at¬tività di somministrazione e corresponsione delle prove Invalsi ben può farsi rientrare tra le attività previste dall’art. 29 del CCNL vigen¬te Omissis essendo l’attività relativa alla loro correzione inquadrabile come attività funzionale all’insegnamento (nella prospettiva del miglioramento degli standards del sistema scolastico….”
A quanto sopra detto, intendo aggiungere e sottolineare, con forza, il fatto che il Miur avrebbe dovuto adoperarsi in modo più mirato per preparare scuole ed insegnanti alle pro¬ve Invalsi. Se sui test e sulla loro funzione non c’è piena conoscenza e consapevolezza, esiste una responsabilità dell’amministrazione che sulla valutazione da oltre dieci anni a questa parte non ha attivato nulla. Anzi, il ritorno ai voti e l’enfasi sul cinque in comportamento non ha fatto altro che sferrare un duro colpo a quella “cultura della valutazione” che negli anni Ottanta si era avviata con tanta fatica.
E poi ancora: è innegabile il carico di lavoro per le segreterie e i docenti per la sommini¬strazione e la correzione delle prove. Ci si chiede: se della valutazione degli apprendimenti sono responsabili gli insegnanti nelle loro classi, perché della valutazione di sistema non si fa carico, totalmente e direttamente l’Invalsi, con la sua organizzazione e con il suo budget? E’ solo un discorso al vento. Siamo alle solite: l’amministrazione assegna compiti, anche impegnativi, ma non assegna risorse. E si innescano così il malcontento e l’inquietudine che sfociano talvolta nella demotivazione e a pagare, alla fine, sono sempre i nostri ragazzi.
Ma…… le prove Invalsi possono essere tutto quello che viene detto su di esse, sono, però, un validissimo aiuto a fare una “istantanea” alla classe, utile ad avviare un’ulteriore rifles¬sione su eventuali lacune o salti.
Come può essere che, ad un insegnante, non interessi vedere come si pongono i suoi ra¬gazzi, di fronte ad una domanda insolita, ad uno stile e modo diverso di essere interpellati; non interessa prendere atto che possiedono o non possiedono schemi validi di mobilita¬zione delle conoscenze, che pur hanno, per affrontare problemi nuovi; non interessa sa¬pere se si è riusciti con le strategie didattiche messe in atto ad attivare quegli schemi utili a trasformare le conoscenze in competenze?
In altri termini, come si fa a non capire che la professione dell’insegnante, in quanto formatore, è una professione che non può smettere mai di mettersi in discussione e di adottare per questo una raffinata continua riflessività?
Che senso ha oggi rifiutarsi di fronte ad un adempimento il cui fine è solo quello di verificare insieme che cosa stiamo facendo nelle aule, dov’è che facciamo bene, dov’è che sba¬gliamo? Un intervento Invalsi, con tutta la sua limitatezza ci sollecita a riflettere, a confron¬tarci, al limite anche a dire che tutti gli item sono sbagliati…
Non è una occasione per discutere, per con¬frontarci, per crescere? Autonomia è sinonimo di autoreferenzialità e del “ Fai da te ” ? E’ forse meglio che ciascuno permanga nel chiuso della propria aula, mentre i ragazzi cre¬dono sempre meno ad una scuola che sappia aprirsi e confrontarsi con il mondo? Siamo a febbraio e abbiamo il tempo per riflettere e per decidere al meglio!
Mi auguro che possa prevalere oggi lo sforzo di cogliere gli aspetti positivi e i possibili “vantaggi” delle prove INVALSI. Primo fra tutti, l’opportunità di confrontare i risultati con quelli nazionali, con un feedback all’interno della propria scuola, utile a valutarne e a migliorarne l’azione.

Designazione commissari interni agli Esami di Stato: la competenza è del consiglio di classe

Didascalia scuolaSiamo a gennaio e, come ogni anno, nelle Istituzioni Scolastiche della Secondaria di 2^ grado, subito dopo l’indicazione, da parte del MIUR, delle materie affidate ai commissari esterni, della materia oggetto della seconda prova scritta e dell’effettuazione delle operazioni di abbinamento delle classi /commissioni negli Esami di Stato, si comincia a “ragionare” sulla designazione dei commissari interni.
I genitori si chiedono chi, fra gli insegnanti, sappia meglio guidare i propri figli a sostenere le prove dell’ESAME DI STATO; gli studenti cominciano a sfogliare la margherita del consiglio di classe:
questo docente sì, questo docente no. E così, qualche stranezza, ancora, si registra nella designazione dei commissari interni:
• In nome della partecipazione e della democrazia si convocano assemblee di classe degli studenti, chiamati a indicare i docenti come commissari interni;
• In nome della condivisione delle scelte si ascoltano anche i genitori che argomentano, avanzano proposte e /o pongono veti;
• In nome della conservazione del prestigio della scuola ci si pone il traguardo di un buon bottino di votazioni eccellenti (tanti 100, meglio se cento e lode) e si cerca, nella designazione dei commissari interni, di porre un contrappeso ad ogni peso: in una stessa commissione ad un docente di matematica esterno, si affianca un docente di fisica interno, ad un docente di storia esterno si affianca un docente di filosofia interno, ad uno di italiano esterno un docente di latino interno e così via, sottovalutando, però, il rischio di dar vita a sovrapposizioni, conflitti professionali, che andrebbero alla fine a danno esclusivo degli studenti;
• In nome di una difesa d’ufficio dei candidati, sempre e in ogni caso, si vanno a ricercare i docenti più combattivi, talora, i più aggressivi.
E poi, in ultimo, con molta superficialità, si acconsente al rifiuto di qualche docente che per motivi vari (non sto qui a rappresentarli) si sottrae ad un preciso dovere professionale, quello di accettare la nomina di membro interno.
Il risultato, alla fine, nella ripartizione delle materie oggetto di prove d’esame, tra la componente interna ed esterna, è la formazione di commissioni totalmente sbilanciate, che vengono, perciò, fin dalla seduta preliminare, disapprovate e criticate dal Presidente e dai Commissari esterni, con il pericolo di compromettere quella fiducia e quella serenità, all’interno della commissione, ingredienti indispensabili per una conduzione degli esami all’insegna della professionalità e della piena disponibilità nei confronti degli studenti.
Eppure, le norme (la legge 425/97, il DPR 323/98, il DM n.359/98 con successive modificazioni e integrazioni, le circolari successive annuali e puntuali), a tal proposito, sono ben conosciute e chiare:
• La designazione dei commissari interni avviene da parte del Consiglio di classe nella sola componente docente e non da parte degli studenti, dei genitori o del solo Dirigente;
• i commissari interni, il cui numero deve essere pari a quello degli esterni, sono designati tra i docenti appartenenti al Consiglio della classe/commissione, titolari dell’insegnamento delle materie non affidate ai commissari esterni […];
• le materie affidate ai commissari interni devono essere scelte in modo da assicurare una equilibrata presenza delle materie stesse e, in particolare, una equa e ponderata ripartizione delle materie oggetto di studio dell’ultimo anno tra la componente interna e quella esterna, tenendo presente l’esigenza di favorire, per quanto possibile, l’accertamento della conoscenza delle lingue straniere;
• sia i commissari interni che i commissari esterni conducono l’esame nelle materie per le quali hanno titolo secondo la normativa vigente;
• la scelta deve essere, altresì, coerente con i contenuti della programmazione organizzativa e didattica del Consiglio di classe, al fine di consentire ai commissari interni di offrire in sede di esame alla componente esterna tutti gli elementi utili per una valutazione completa della preparazione del candidato.